L’IA come l’elettricità cambierà la nostra vita

Intervista a Gianni Riotta a cura di Massimiliano Cannata

Giornalista, scrittore, conduttore televisivo, direttore del TG1 e del Sole 24 Ore, inviato, Riotta è da sempre un attento osservatore delle fenomenologie del cambiamento, che interpreta esercitando un ottimismo razionale, e un metodo attendo di verifica delle fonti da cronista di razza. In questa intervista vengono presi in esame i tanti risvolti sociali, economici e lavorativi che la rivoluzione dell’IA sta determinando in ogni angolo del pianeta. Dobbiamo imparare a regolare “la macchina del caos” per usare la definizione di Max Fisher, cercando di studiare a fondo il potere degli algoritmi e l’influenza che il loro uso diffuso potrà avere per gli equilibri della democrazia. Il recente caso del New York Time che cita in giudizio chatgpt per l’uso indebito dei propri contenuti giornalistici solleva degli interrogativi che attengono non solo al diritto d’autore, ma più in generale al disallineamento che si registra tra i percorsi evolutivi della tecno-scienza e i progressi della ricerca giuridica.

Direttore Riotta, lei è stato tra i primi ad occuparsi delle trasformazioni apportate dal digitale, tema cui ha dedicato la tesi di laurea alla Columbia University, Come giudica l’esplosione che sta avendo l’intelligenza artificiale?

Siamo di fronte a una vera grande rivoluzione. Nel corso dei miei studi ho avuto modo di conoscere i padri dell’IA, sarebbe stato difficile anche per loro prevedere gli sviluppi cui saremmo andati incontro. Va detto che c’è stata una fase in cui si era anche assistito a uno stop, adesso in forza della capacità di generare linguaggi si sta espandendo con rapidità. Come è stato per l’elettricità imporrà una mutazione profonda del nostro modo di studiare, di lavorare, in una parola di vivere.

Quale approccio è giusto tenere rispetto al vento del cambiamento? Il sociologo Mario Morcellini, ricordando la nota contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati”, suggeriva di aderire a una nuova categoria, quella degli “impegnati”. Qual è il suo parere in merito?

“Apocalittici e integrati” è un libro di Umberto Eco del 1964. Il grande intellettuale aveva già risposto a questo dilemma con lucidità. Settanta anni dopo leggiamo sui giornali che l’IA porterà conflitti, ruberà il lavoro, per poi il giorno dopo attribuire a questa applicazione doti salvifiche. In verità nessuno può sapere il futuro. Pensiamo a quanto avvenuto con la fissione nucleare. Come è noto fu sperimentata alla fine degli anni trenta. Nel terribile agosto del ’45 con lo sganciamento della bomba atomica, su Hiroshima e Nagasaki il mondo assistette alla prima applicazione distruttiva di questa scoperta. Per vedere la prima lampadina elettrica alimentata con il nucleare, bisognerà aspettare il 1957, ben dodici anni. Arrivando all’attualità registriamo che i tedeschi hanno bloccato l’utilizzazione del nucleare, in ragione del fatto che non si riesce a controllarne l’impiego in maniera sicura e indolore. Stesso ragionamento vale per l’intelligenza artificiale, non si possono dare letture univoche, superficiali e sommarie delle scoperte della scienza e della tecnologia. Tutti quelli che scrivono cosa ci attende, non hanno la più pallida idea di come saremo tra qualche anno.

Rimane il fatto che la contrapposizione disorienta l’opinione pubblica…?

Certamente. Quello che servirebbe è un approccio più pragmatico, più cauto, meno propagandistico. Occorre ragionare e fare un passo alla volta, mentre per adesso vedo un dibattito urlato e, quel che è peggio, sconclusionato.

In un commento apparso su Repubblica, insiste sulla necessità di definire regole europee per l’IA. In concreto cosa vuol dire?

Come per tutte le innovazioni, anche l’IA va regolata, non possiamo lasciare mano libera alle grandi piattaforme di gestire la raccolta dei dati senza alcuna verifica. Quali algoritmi vengono usati, come vengono usati, come vengono distribuiti, sono questioni cruciali che devono trovare una regimentazione giuridica. Il vero problema è che la legge sull’intelligenza artificiale, rischia di essere già vecchia, quando verrà approvata. Il Parlamento dell’Unione si è impegnato a vararla prima delle prossime elezioni, intanto però la tecnologia va avanti. A novembre dello scorso anno è arrivato chat GPT 4, ma siamo andati già molto oltre...

Il rapporto tra i tempi della scienza e delle applicazioni tecnologiche e la ricerca giuridica sono disallineati. Non è una novità. Sono tanti i casi che si possono richiamare, forse il più eclatante riguarda lo stop imposto dal Garante della Privacy a Chat GPT, che ha fatto parlare di misura draconiana e di oscurantismo. Che idea si è fatto?

Mentre tutto il mondo sta andando in una direzione, questo “sgambetto” all’italiana rimane difficile da giustificare. Bastava connettersi a un “server open” per aggirare un divieto, che ha avuto il risultato di danneggiare molte start up italiane e alcuni centri di ricerca. Con quel provvedimento ci siamo tirati addosso il giudizio di paese “luddista”, conservatore, antitecnologico. La riapertura che è seguita, con le presunte garanzie fornite da Open AI, che da cronista avrei preferito leggere in un documento ufficiale per capirne lo spirito e il significato, sa in realtà di un passo indietro. L’istituzione ha insomma tardivamente capito che aveva preso un grosso abbaglio e si è ricreduta.

Nel corso de “La Repubblica delle idee” evento che si è svolto a Bologna Lei ha moderato un dibattito sul “lavoro come specchio del cambiamento”. Cosa sta succedendo alle organizzazioni produttive, non rischiano di farsi travolgere dalla rivoluzione in atto?

Il salto da gestire sarà incredibile. Muta il lavoro dei professori nelle scuole che certo non potranno dare agli studenti come compito la classica ricerca da fare a casa, magari con l’ausilio delle gloriose enciclopedie che ormai non sfoglia più nessuno. Ma anche per avvocati, ingegneri, manager, giornalisti stanno mutando i tempi e i modi di gestire e concepire il lavoro. Dipenderà molto dal modello economico che adotteremo. Vogliamo aderire al paradigma di un capitalismo selvaggio, motore di diseguaglianze e di forti tensioni sociali o piuttosto, dimostrando maggiore equilibrio e ragionevolezza, ci impegneremo per affermare un modello di IA e di sviluppo tecnologico sostenibile? Sarà questo il banco di prova del futuro più immediato.

Lei è direttore della scuola di Giornalismo della LUISS, dove ha messo in campo un progetto di avanguardia. Di che cosa si tratta?

Gli studenti hanno creato una rivista utilizzando gli algoritmi, sperimentando un’attività redazionale mediata dall’innovazione tecnologica originale e stimolante. Quello che abbiamo soprattutto testato è il mutamento della professione. Non si tratta di consegnare o appaltare il giornalismo ai fornitori di tecnologia o di algoritmi, ma di guardare in faccia la trasformazione che sta avvenendo, nella consultazione e nel confronto delle fonti, ma anche nei linguaggi con cui un cronista deve raccontare la realtà.

Credo che non bisogna arretrare rispetto al nuovo, piuttosto rilanciare interrogativi e il senso profondo delle domande che deve animare la curiosità del cronista, oggi come ieri. Perché non ci interroghiamo per esempio a sufficienza sul fatto che non ci sono piattaforme europee? Per quale ragione i giornalisti italiani hanno guardato con distacco prima l’evoluzione di Internet e dei social e oggi quella della IA, che fa parte ormai della nostra strumentazione quotidiana?

Che risposta si è dato?

Quando ero direttore del TG1 ho voluto una rubrica: “TG1 sei tu” selezionando dei video realizzati dai nostri ascoltatori. Il messaggio era chiaro: dobbiamo dialogare con tutti, perché oggi videomaker e cronisti di assalto ne abbiamo in ogni angolo di strada, basta avere un telefonino e filmare quello che avviene.

Non commettiamo ancora una volta l’errore di quel celebre giornalista che disse che Internet era una moda cattiva che sarebbe passata presto. Purtroppo, però, non vedo ancora il giornalismo professionale di casa nostra pronto a superare questo gap culturale, che ha già caratterizzato il dibattito pubblico in occasione della “prima” rivoluzione digitale, quella apportata dal telefonino e da Internet diffuso.

Vorrei chiudere la nostra conversazione con una riflessione sulla sicurezza. Questione divenuta centrale in ogni ambito della vita quotidiana, e che chiama in causa chi si occupa, in particolare, di gestire il flusso delle informazioni. Il fenomeno fake news preoccupa non poco. Come arginarlo?

Alla LUISS, opera un hub contro la disinformazione che coordino insieme alla professoressa Livia Di Giovanni. Stiamo parlando di una tematica di frontiera, come dimostra la creazione di una task force europea finalizzata a contrastare quella che Max Fischer in un saggio da poco tradotto in Italia a cura del direttore de l’Inchiesta Christian Rocca La macchina del caos. Gli studiosi sono sempre più attenti ad analizzare la forza politica dei social. Non è un caso perchè Troll come si è visto con l’alluvione in Emilia e Robot stanno condizionando il percorso della storia, modificando anche il modo di fare la guerra, come si sta vedendo bene in Ucraina. Torna in primo piano ancora la riflessione sull’IA, che sarà certo l’arma della propaganda e della disinformazione anche nel prossimo appuntamento elettorale ma, e lo voglio sperare con convinzione, sarà anche la nostra arma per smascherare hacker e impostori che ormai si annidano a tutte le latitudini.