Terrorismo e tecnologia: i nuovi strumenti di attacco. Dalla comunicazione alla (dis)informazione

A cura di Marco Santarelli

Secondo il report Digital 2023 di We Are Social, 5.16 miliardi di persone, ossia oltre il 64% della popolazione globale, hanno oggi accesso a Internet, il 2% in più rispetto al 2022. Di questi, almeno 4.76 miliardi sono anche utenti social, ossia il 3% in più rispetto alla precedente rilevazione. Dall’avvento di Facebook e delle altre piattaforme social che si sono susseguite in questi ultimi anni, ci sono stati diversi cambiamenti che hanno riguardato aspetto, regole e modalità di utilizzo. Anche se il primo social network in assoluto è stato ufficialmente Six Degrees, lanciato in USA nel 1997 per creare profili, elencare i propri amici e navigare in questi elenchi, è la piattaforma firmata da Mark Zuckenberg nel 2004 quella considerata la prima a raggiungere una posizione dominante rispetto alle altre. Nati per comunicare tra utenti, i social network hanno poi man mano sostituito, o almeno ci stanno provando, i mass media consolidati come televisione, radio e stampa cartacea. Basti pensare a TikTok, piattaforma figlia della cinese ByteDance e basata sulla condivisione di video, che nel 2022 ha ricevuto più visite addirittura di Google e i cui video sono stati più guardati a livello di numero di minuti rispetto a quelli di YouTube. Questo esempio dimostra che i social network si stanno trasformando, se non lo hanno già fatto, nel punto di riferimento, oltre che per la comunicazione, anche per l’informazione globale a tutto tondo. Informazione, che, purtroppo, spesso si converte in disinformazione e nelle cosiddette fake news sfruttate per diffondere notizie false con obiettivi malevoli e pericolosi o che viene sfruttata per l’organizzazione di azioni criminali terroristiche.

Nel frattempo, si sta facendo strada anche un altro tipo di attacco, quello attraverso i droni, probabilmente tra le armi più preoccupanti del futuro, insieme agli attacchi batteriologici.

I divieti social nel mondo

Sono diversi i casi nel mondo di paesi che hanno deciso negli ultimi tempi di vietare l’utilizzo di determinati social media per le preoccupazioni legate alla disinformazione e all’impatto negativo sulla giovane popolazione. Ultimo tra tutti la Somalia, che ha bandito a fine agosto TikTok e Telegram, insieme al sito di scommesse online 1XBet, dichiarando, tramite il MOCT, Ministero delle Comunicazioni e della Tecnologia, di lavorare per preservare la cultura della società somala, dato che sono i dispositivi di telecomunicazione e internet a influenzare gli stili di vita e a favorire le cattive abitudini. L’annuncio del MOCT recita così: “Si è ritenuto importante chiudere TikTok, Telegram e le attrezzature da gioco 1XBet, che hanno avuto un impatto sui giovani somali, causando la morte di alcuni di loro […] Il ministro delle comunicazioni ordina alle aziende Internet di fermare le applicazioni sopra menzionate, che terroristi e gruppi immorali utilizzano per diffondere immagini orribili costanti e disinformazione al pubblico”. Il divieto di utilizzare queste app potrebbe essere legato anche all’adozione di criptovalute nel Paese, come in altri paesi africani, ma molte giurisdizioni globali ritengono che le criptovalute siano associate a rischi di finanziamento del terrorismo.

Anche l’Iran aveva bannato Telegram, ora riammesso, per timori sulla sicurezza e sui dati personali dei suoi utenti, così come il Brasile l’ha temporaneamente sospeso mesi fa a causa di un’indagine in corso su un gruppo di neonazisti che incitavano attacchi scolastici. E prima ancora, per citarne alcuni, la Danimarca con un divieto per ragioni di cybersicurezza, l’Olanda, che ne aveva sconsigliato l’utilizzo, la maggior parte dei paesi USA, Canada, India, Afghanistan, mentre Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Armenia e Azerbaijan hanno sospeso temporaneamente l’app per controlli su contenuti non graditi ai governi.

Il terrorismo dal basso: l’esempio Telegram

Fondato da Nikolaj e Pavel Durov dieci anni fa, Telegram è subito diventata, come molti pensano, un’alternativa più sicura a WhatsApp, soprattutto grazie al fatto che utilizza un sistema di crittografia per proteggere la privacy dei messaggi. Si aggiunge anche la quasi totale assenza di censura, di controlli e soprattutto di collaborazione con le autorità, motivi che lo hanno reso celebre tra i gruppi e le persone malintenzionate. Infatti, i servizi di Telegram di messaggistica istantanea e broadcasting sono basati su un cloud erogato dalla società Telegram LLC, con sede a Dubai. Non è possibile, quindi, rivolgere richieste alla società in assenza di rogatoria internazionale.

I fratelli fondatori di Telegram, che hanno fondato un popolare social network russo, VKontakte, hanno lanciato poi questa piattaforma nel periodo in cui gli alleati del Cremlino hanno preso il controllo di Vkontakte. Pavel Durov ha dichiarato nel 2014 al New York Times che Telegram è stato concepito dal desiderio di avere una piattaforma di comunicazione libera e sicura fuori dalle mani dello Stato russo. Infatti, l’applicazione è stata fondamentale, ad esempio, in nazioni come la Bielorussia, in cui è stata sfruttata per le proteste per le elezioni del 2020 e come la Cina per le manifestazioni del lockdown dovuto al Covid-19.

Rispetto ad altre piattaforme apparentemente più utilizzate, come Whatsapp perché con un numero maggiore di utenti, 2 miliardi al mese rispetto ai 700 milioni di Telegram, quest’ultima è, però, la piattaforma favorita, come già anticipato, da attivisti, truffatori di cryptovalute, spacciatori, terroristi, estremisti, cospirazionisti. Gratuita e leggera come le altre app di messaggistica, Telegram promette un sistema di alta privacy e anticensura e, pertanto, finisce nelle mani di determinate categorie di utenti. Molto spesso, l’unico modo per ottenere informazioni è infiltrarsi nei gruppi e monitorare dall’interno le informazioni e i dati scambiati. Avere il servizio in cloud significa anche che tutte le conversazioni e gli allegati multimediali vengono salvati online e sono accessibili da qualsiasi dispositivo da cui effettuiamo l’accesso; in più, non impatta sulla memoria interna del nostro dispositivo. È anche possibile creare chat segrete, in cui le conversazioni si autodistruggono.

La forza di Telegram, al di là della classica crittografia end-to-end, che protegge i messaggi da qualsiasi parte esterna che voglia accedervi e che troviamo anche in altre piattaforme, è che permette anche agli utenti deplorati altrove di avere voce e crearsi un pubblico di sostenitori, con una moderazione dei contenuti non vincolante, eccetto per quelli di pornografia illegale ed espliciti appelli pubblici alla violenza. In più, Telegram, rispetto alle altre piattaforme, funziona maggiormente ad invito in canali specifici, cosa che rende più complicato l’accesso ad accademici, giornalisti o forze dell’ordine in generale. Solo per il mercato grigio delle pillole abortive su Telegram sono stati trovati 200 canali pubblici contenenti 47.000 messaggi, ma, proprio per il funzionamento a invito della piattaforma, è stato quasi impossibile risalire a chi vendeva prodotti farmaceutici legittimi e quali organizzazioni erano prestanome o truffe.

Per contrastare la diffusione di materiale estremista, Telegram sta collaborando con Etidal, il Centro globale per la lotta all’ideologia estremista, e di recente è stata effettuata la rimozione di 7 milioni di post e messaggi e la chiusura di 1.500 canali, per un totale di 28 milioni di canali estremisti chiusi da febbraio 2022. Un esempio eclatante di quanto il fenomeno sia diffuso ce lo dà la giornata del 18 aprile scorso, che ha registrato un picco della diffusione di contenuti da parte di al-Qaeda di 615.000 articoli. Il fondatore Pavel Durov, che durante un’intervista nel settembre del 2015 ha ribadito che il tema della privacy su Telegram è caro alla piattaforma ed è più importante rispetto alle nostre preoccupazioni sulla sicurezza, è stato smentito solo un paio di mesi dopo a seguito dell’attentato di Parigi al Bataclan e altre zone della capitale francese, con un pesante bilancio di morti e feriti, dato che lo strumento per organizzare e coordinare le azioni terroristiche, come è emerso dalle indagini, è stato proprio Telegram.

Altra funzionalità che permette al social di facilitare la propaganda terroristica è rappresentata dai bot, che pubblicano, diffondono e rispondono in maniera automatica alle chat 24 ore su 24, garantendo a organizzazioni criminali terroristiche la copertura di propaganda di cui hanno bisogno.

Il terrorismo dall’alto: i droni

Dal 2001, anno dell’attacco alle Twin Towers di New York, che ha rappresentato un attacco all’Occidente intero, il terrorismo ha subito una vera e propria evoluzione, diventando sempre più creativo e imprevedibile e giocato su campi di battaglia “invisibili”, come il web, o sopra le nostre teste, attraverso strumenti tecnologici come i droni.

I droni sono “aeromobili a pilotaggio remoto” (APR), velivoli pilotati da un computer di bordo o da un pilota che li guida da remoto con un radiocomando, anche classificati come sistemi a pilotaggio remoto (SAPR). Questi strumenti rappresentano una reale minaccia per le infrastrutture critiche, dato che possono essere utilizzati per attaccare dighe o centrali nucleari dall’alto oppure possono essere sfruttati anche per mettere in crisi i sistemi di navigazione di droni altrui, come è accaduto in passato ad alcuni Predators in volo sull’Iraq, i cui video non criptati sono stati intercettati dal gruppo ribelle Kata’ib Hezbollah, sostenuto dall’Iran.

Il primo attacco nella storia che ha utilizzato il drone come arma c’è stato il 7 ottobre 2001, giorno dell’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e degli alleati, che ha rovesciato il regime talebano. Il Il drone, un Predator armato, aveva come obiettivo il mullah Mohammad Omar, leader supremo del gruppo, e, sorvolando sulla provincia meridionale di Kandahar, la cosiddetta capitale dei talebani, ha invece colpito, con due missili Hellfire, un gruppo di afghani, ma non lui. Il mullah Omar è, infatti, morto per cause naturali una decina di anni dopo all’interno di un nascondiglio a poca distanza da una base tentacolare degli Stati Uniti. E nel cercare di scovarlo e ucciderlo sono state seminate tante vittime civili.

Vent’anni dopo l’attacco effettuato con i droni dagli USA contro Kabul, a seguito della ritirata ufficiale delle ultime truppe USA e della coalizione NATO dall’Afghanistan nell’agosto 2021, e la ripresa al comando delle forze talebane con a capo il leader talebano di spicco nella rete Haqqani, ala militare del gruppo, sulla cui testa gli Stati Uniti dieci anni fa avevano affisso una taglia da cinque milioni di dollari e che, tra l’altro, gli stessi USA credevano di aver ucciso tramite attacchi di droni. In questo attacco morì una famiglia di dieci civili, tra i quali un’interprete per gli Stati Uniti in Afghanistan e sette bambini. Un attacco, quindi, fallimentare, da parte dell’amministrazione Biden e non solo, visto che molto spesso, già in passato, gli attacchi da parte americana sono avvenuti in zone rurali, in cui poi era difficile svolgere le dovute verifiche. In questo caso, l’attacco era stato rivolto alla capitale afghana, su luoghi a cui tutti avevano accesso, da giornalisti a investigatori.

Oggi, i droni sono diventati alleati della resistenza ucraina contro la Russia e in particolare i droni di consumo rappresentano strumenti cruciali per osservare l’artiglieria e dirigere il fuoco verso il nemico, dopo averne individuato la posizione esatta. Lo sviluppo di questi strumenti diventati militari, soprattutto con il conflitto russo-ucraino in corso, ha subito una forte impennata negli ultimi, basti pensare che l’Ucraina, ad esempio, possiede sistemi di caccia con droni forniti di piccoli radar e veicoli aerei senza pilota, alimentati da intelligenza artificiale, della Fortem Technologies, con sede nello Utah, programmati per individuare i droni nemici, che vengono disattivati dagli UAV sparando reti contro di loro, senza che vi sia l’intervento dell’uomo. E poi Israele, paese all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, con droni dotati di intelligenza artificiale, gli Harpy, esportati da anni e capaci di distruggere i radar e sostare al di sopra di quelli antiaerei per nove ore in attesa che si accendano, la Cina con l’elicottero senza pilota chiamato Blowfish-3, e ancora la Russia con il drone subacqueo AI a propulsione nucleare, Poseidon, ancora in fase di progettazione, e i Paesi Bassi con i loro test su un robot terrestre dotato di una mitragliatrice calibro 50.